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Il Blog del nostro studio

Autore: Studio Dott. Micalizzi 20 ago, 2019
La gestione di questo spazio sopraelevato implica per l’amministratore condominiale una serie di problematiche, soprattutto nei casi di uso esclusivo, che tribunali e persino la Cassazione si sono trovate a dirimere. Difficilmente sorgono problemi dall’uso comune del lastrico solare; più complesso è, invece quando il lastrico sia in proprietà e/o in uso esclusivo di un solo o solo di alcuni condòmini. Varie sono state, in proposito, le decisioni dei giudici, talvolta addirittura contrastanti, tanto da rendere necessario l’intervento a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 9449 del 2016). Partiamo dalla manutenzione. Il Codice Civile, all’art. 1126, disciplina i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria del lastrico solare: “Quando l’uso del lastrico solare o di una parte di esso non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle ripartizioni o ricostruzioni del lastrico, gli altri due terzi sono a carico dei condomini dell’edificio o della parte di questo di cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano e della porzione di piano di ciascuno”. Il principio è confermato dalla Corte di Cassazione nelle sentenze 26239/2007, 12682/2001, 9651/2000 e 9009/1998, con le quali si è affermato che il criterio di ripartizione delle spese previsto dall’art. 1125 codice civile è applicabile alla manutenzione e alla ricostruzione dei solai e delle volte, ma non anche della terrazza a livello, pur se sotto di essa sia presente un solo locale: in questo caso, la funzione di copertura della terrazza medesima non viene meno (C. 199/2017; C. 11029/2003). In correlazione a tale obbligo, i condòmini hanno il diritto di deliberare sui lavori, sia pure solo con riguardo a quelli necessari per la conservazione della funzione di copertura della terrazza, mentre sono a carico esclusivo del proprietario di questa le spese per il rifacimento dei parapetti o di altri simili ripari, in quanto esse servono, non già alla copertura, ma alla praticabilità della terrazza (C. 15389/2000). Di conseguenza, diversamente dai lastrici solari condominiali, nelle terrazze a livello la funzione di copertura è sussidiaria rispetto a quella di estensione e integrazione dell’appartamento cui sono annesse (C. 8394/1990; C. 1029/1986). Peraltro, in assenza di titolo espresso, una terrazza a livello può ritenersi di proprietà esclusiva del proprietario dell’appartamento da cui si accede alla terrazza stessa, ove essa costituisca parte integrante da un punto di vista strutturale e funzionale del piano cui è annessa (C.3832/1994), con la conseguenza che il proprietario del lastrico può essere costretto a costruire un muretto recinto da rete metallica, onde rendere la luce irregolare conforme alle prescrizioni stabilite dall’art. 901 (C. 113/2) Quanto alle ulteriori spese, non direttamente disciplinate dall’art. 1126 del codice civile, si ritiene che siano a carico del proprietario del lastrico solare quelle sostenute per la impermeabilizzazione del terrazzo a livello, rese necessarie dal fatto personale del proprietario (C. 5604/1978) o, più in generale, tutte le spese necessarie alla ricostruzione od alla riparazione del lastrico solare che siano state originate da fatto imputabile al proprietario dello stesso (C. 3676/2006). Analogamente, l’art. 1126 non trova applicazione nell’ipotesi di riparazioni originate da difetti di progettazione o di esecuzione del lastrico, ove queste siano state indebitamente tollerate dal singolo proprietario, sul quale soltanto graverà il relativo onere ex art. 2051 (C. 6060/1998; C. 8669/1990). L’articolo in commento si riferisce solo alle riparazioni riguardanti il manufatto posto alla sommità della costruzione, manufatto comprensivo di ogni suo elemento, sia pure accessorio, come la pavimentazione, ma non anche di tutto ciò che vi è sovrapposto, che ad esso si collega ab extra, essendo dotato di una propria autonomia strutturale e funzionale (C. 6889/2009; C. 7472/2001). Un esempio è particolarmente calzante: la piscina ad uso esclusivo di un condomino. In applicazione del suddetto principio, si è ritenuto che le spese di rifacimento e di manutenzione di una piscina, ad uso esclusivo di un condomino, posta sul lastrico solare condominiale in esclusivo uso dello stesso condomino, non possono rientrare tra quelle da suddividere ai sensi del presente articolo, poiché la vasca si pone come una specifica pertinenza dell’immobile appartenente al singolo condomino. Dunque, in quanto tale, non necessita di manutenzione per la sua destinazione a copertura dei piani sottostanti, ma per evitare che, dalle pareti, possano derivare infiltrazioni in ragione del particolare uso e destinazione della medesima (T. Milano 12.2.2003). Analogamente non è da ritenersi equiparabile ad una terrazza a livello, ai fini dell’applicazione dei criteri di ripartizione delle spese previsti dal presente articolo, il cortile o viale di accesso all’edificio condominiale, che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condomino, dovendosi, invece, procedere ad un’applicazione analogica dell’art. 1125 (C. 18194/2005). Il titolare dell’uso esclusivo di un lastrico solare, in virtù di una clausola del regolamento contrattuale del condominio, è tenuto alle spese di manutenzione ex art. 1126, ancorché l’accesso al terrazzo sia possibile da manufatti diversi da quelli indicati nel regolamento (C. 6681/1988).
Autore: Studio Dott. Micalizzi 16 ago, 2019
La materia dell'eliminazione delle barriere architettoniche è disciplinata dalla legge 9/1/1989, n. 13, intitolata "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati". L'espressione "barriere architettoniche" è utilizzata frequentemente nel linguaggio quotidiano, spesso come sinonimo di ostacolo, impedimento. La definizione sintetica è riportata all'art. 2 lettera A del D.M. 236/89, in cui leggiamo: "Per barriere architettoniche si intendono: a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti; c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi". Ecco alcuni esempi classici di barriere architettoniche: scalini, rampe con pendenze eccessive, porte strette, rialzi, marciapiedi stretti, spazi ridotti, ascensori piccoli. Oltre a questi casi così evidenti esistono anche altri tipi di barriere architettoniche, purtroppo a volte invisibili ai pienamente abili come: finestre, banconi da bar, parapetti troppo alti che impediscono la visibilità ad esempio ad invalidi in carrozzella, sentieri di ghiaia, marciapiedi senza sufficiente spazio per la salita e discesa. L'art. 2 comma 1° della legge 9/1/1989, n. 13, con riferimento alle deliberazioni assembleari che hanno per oggetto le innovazioni volte ad eliminare le barriere architettoniche, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e l'installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi negli edifici privati, al fine esclusivo proprio di agevolare i portatori di handicap, prevede testualmente la possibilità per l'assemblea di approvare le innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell'art. 1136 comma 2° e 3° c.c. , in deroga all'art. 1120 comma 1° c.c., che richiama il comma 5° dell'art. 1136 c.c. . Pertanto, le predette innovazioni possono essere approvate con un "quorum" più basso fra quelli previsti dal codice civile per tutte le innovazioni. Peraltro, in caso di approvazione la relativa spesa potrà essere legittimamente ripartita tra tutti i condomini o quelli della scala interessata all'intervento, a seconda di come è strutturato l'edificio. Qualora il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta scritta, le deliberazioni di cui sopra, il portatore di handicap o chi esercita su di lui la potestà o la tutela può installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili. E', inoltre, possibile modificare l'ampiezza delle porte di accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe delle autorimesse. Questo tipo d'intervento può anche essere autorizzato dal giudice con provvedimento di urgenza. La legge sull’edilizia privata consente, quindi, di sollecitare l’eliminazione delle barriere architettoniche mediante apposita richiesta presentata dal soggetto interessato all’amministratore di condominio. Tutto ciò al fine di meglio agevolare la fruizione dei servizi condominiali e delle parti comuni da parte non solo, quindi, dei condomini anziani o portatori di handicap, ma anche di coloro che, pur versando nelle medesime condizioni siano amici, conoscenti, parenti o utenti dei singoli condomini. Il richiedente, tuttavia, non ha alcun potere di imporre al condominio l’esecuzione di particolari opere, ma può solo pretendere, in caso di opposizione da parte dell’assemblea, di eseguirle a spese proprie. Nel caso in cui l’assemblea addirittura vieti al condomino di eseguire gli interventi, non resta che ricorrere all’autorità giudiziaria affinché, valutatane la necessità e ricorrendone i presupposti, emetta gli opportuni provvedimenti per rendere più accessibile l’edificio condominiale. La Cassazione, in merito a tale questione, delinea espressamente che le suddette opere, per la cui realizzazione è prevista una deroga in materia di distanze legali, non possono però recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, né possono alterarne il decoro architettonico o renderne talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino. A maggior ragione l'assemblea non può, a maggioranza, ledere i diritti dei condomini sulle parti di edificio di proprietà esclusiva, come nel caso in cui deliberasse l'installazione di un ascensore per favorire un disabile, determinando però sensibile deprezzamento dell'unità immobiliare di un altro condomino (Vedi Cass. 25/6/1994, n. 6109, Corte app. civ. Napoli, sez. II, 1994 n. 3074). Nell'ipotesi in cui le opere siano state realizzate a cura e spese del portatore di handicap, i condomini e i loro eredi o aventi causa (per es. chi dovesse acquistare da uno di essi) possono, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo alle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera, come delinea l'art. 1121 comma 3° c.c., espressamente richiamato dall'art. 2 comma 3° della legge 9/1/1989, n. 13. La giurisprudenza nel corso degli anni, è intervenuta con molte pronunce così estendendo l'ambito di applicazione delle predetta legge. In particolare, la legge di cui sopra è stata infatti ritenuta applicabile anche nell'ipotesi in cui non vi era la presenza nell'edificio interessato di portatori di handicap, o in presenza di persone anziane o anche invalidi civili non portatori di handicap; il ragionamento di tale filone giurisprudenziale si fonda sull'assunto che la ratio era proprio quella di consentire la "visitabilità" degli edifici medesimi da parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i portatori di handicap possono avere relazioni con l'immobile anche di natura diversa dalla proprietà. Le relazioni a cui fa riferimento la giurisprudenza richiamata possono consistere ad esempio in un rapporto di locazione, di parentela, abituale frequentazione ecc. (in tal senso Trib. civ. Milano 1993 n. 4466) Di conseguenza, la natura del rapporto richiamato dalla giurisprudenza è inteso in senso molto ampio. Sulla stessa linea argomentativa, la giurisprudenza ha ritenuto la normativa sull'abbattimento delle barriere architettoniche applicabile non solo ai soggetti che presentino difficoltà di deambulazione, ma anche ai soggetti ultrasessantacinquenni che, pur non essendo affetti da menomazioni motorie, abbiano ad esempio difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (Trib. Civ. Napoli 1994 n. 2606), o che si trovino in minorate condizioni fisiche ( Pret. Civ. Roma 15 maggio 1996). Infine, la giurisprudenza delinea ulteriormente che la normativa sull'abbattimento delle barriere architettoniche è applicabile anche riguardo alle necessità di un invalido civile e non solo di un portatore di handicap.
Autore: Studio Dott. Micalizzi 16 ago, 2019
Con la legge n. 554/40 in Italia si è iniziato a disciplinare il fenomeno delle antenne, affermando il diritto di chiunque di installare antenne radiotrasmittenti sui tetti degli edifici. L’installazione delle antenne televisive è attualmente disciplinata dall’art. 232 del T. U. approvato con Dpr. N. 156/73 contenente disposizioni in materia postale e delle telecomunicazioni e dalle successive modifiche. In linea generale, ogni condomino ma anche conduttore o usufruttuario, può servirsi liberamente dell’area dell’edificio destinata a d ubicare le antenne televisive, fatto salvo l’altrui diritto di installare un’antenna privata e di usufruire del tetto condominiale quale parte comune dell’edificio. Di fatto il diritto di installare l’antenna televisiva impone un limite al diritto di proprietà a favore non solo di chi è titolare di un diritto di compravendita o di altri diritti reali sullo stabile, ma anche di chiunque vi abiti a qualunque titolo. Viene comunque sancito che “il diritto del singolo condomino di installare l’antenna di ricezione televisiva sulla proprietà comune o esclusiva di altri condomini deve intendersi condizionato all’impossibilità per gli utenti dei servizi radio televisivi, di utilizzare spazi propri” (Cass. n. 9393/05). Più in particolare, l’uso della parte comune di un edificio costituisce esercizio del diritto di comproprietà e non un diritto su cose altrui. Pertanto, un proprietario può servirsi di una cosa comune, anche in modo diverso da quello usuale, purché non alteri la destinazione della cosa e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso. Con il tempo ci si è trovati di fronte al proliferare di numerose antenne, di diversa tipologia, site negli edifici condominiali; per questo motivo si tende a realizzare impianti centralizzati così da ottimizzare la ricezione delle stazioni emittenti radiotelevisive ricevibili e minimizzare, se non annullare, l’esigenza di ricorrere ad antenne individuali. In caso di installazione di antenna centralizzata comune a tutti i condomini, già preesistente, le delibere che riguardano la manutenzione, riparazione e sostituzione dell’antenna possono, in seconda convocazione, essere approvate con la maggioranza semplice: in tal senso la maggioranza vincola la minoranza dissenziente. Nel caso, invece, non esista l’antenna centralizzata, l’eventuale sua installazione non è più configurabile, come accadeva in passato, un’innovazione. Infatti la legge n. 66/01 all’art. 2 bis co. 13, precisa che al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie di radio diffusione da satellite, le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie ai sensi dell’art. 1120 1° comma del codice civile. Il diritto all’installazione della parabola ha natura costituzionale, rifacendosi all’art. 21 della Costituzione: questo è sufficiente per imporre ai condomini eventualmente dissenzienti, sia l’installazione dell’antenna satellitare centralizzata, sia il riparto delle relative spese per la stessa. Intendendo quindi l’installazione di impianti di ricezione satellitare come “innovazioni necessarie” si producono principalmente due effetti: 1) l’installazione sono espressamente assoggettate al regime di cui all’art. 1120 c.c. 1° co c.c., pertanto i condomini dissenzienti non potranno mai essere esonerati dalla spesa; 2) La relativa delibera viene adottata con la maggioranza “semplificata” di un terzo dei condomini e almeno un terzo delle quote millesimali. La legge succitata ha stabilito che entro l’anno 2006 le trasmissioni televisive dei programmi e dei servizi multimediali avrebbero dovuto essere irradiate esclusivamente in tecnica digitale con installazione di nuovi impianti satellitari a maggioranza semplice dell’assemblea. Nel caso, invece, di installazione di antenna individuale, non è necessaria alcuna delibera condominiale, purché il posizionamento dell’antenna avvenga in modo da impedire l’utilizzo del bene comune. A riguardo una recente Cassazione (sent. n. 9427/09) interviene nel vivo del tema antenne condominiali, ribadendo un concetto di per se non nuovo alla normativa e, in particolare, se non si ha la possibilità di installare l’antenna nell’ambito della proprietà esclusiva, il condominio nella sua interezza, ma anche il condomino vicino, non può opporsi all’installazione dell’apparecchio di ricezione sulla sia proprietà. Con la sentenza in questione, la S.C. afferma che il diritto di installare un’antenna televisiva nell’altrui proprietà esclusiva, riconosciuto dai succitati art. 1 e 3 L. 554/40 e dall’art. 231 D.P.R. n. 156/73, ora di fatto assorbito nel cosiddetto codice delle comunicazioni elettroniche D. Lgs. n. 259/2003, è legittimo a condizione che non sia possibile ubicare l’antenna nella propria unità immobiliare o in altro bene di proprietà comune. Nello specifico, l’art. 209 del D.Lgs. n. 259/03 al 1° co. sancisce, in maniera inequivocabile che “I proprietari di immobili o di porzioni di immobili non possono opporsi all’installazione sulla loro proprietà di antenne appartenenti agli abitanti dell’immobile stesso destinate alla ricezione dei servizi di radiodiffusione e per la fruizione dei servizi radioamatoriali.” Mentre il 2° co. precisa che “le antenne, i relativi sostegni, cavi ed accessori non devono in alcun modo impedire il libero uso della proprietà, secondo la sua destinazione, né arrecare danno alla proprietà medesima od a terzi”. L’impossibilità a collocare un’antenna nella proprietà esclusiva, quindi, deve essere oggettiva e non semplicemente una scelta più comoda: il condominio, pertanto, non ha facoltà di scegliere voluttuariamente il sito preferito per l’antenna visto che si va ad imporre una servitù coattiva. Infine, anche il luogo di posizionamento dell’antenna nella proprietà altrui ex art. 109 D Lgs. 259/03 “non deve impedire il libero uso della proprietà secondo la sua destinazione, né arrecare danno alla proprietà medesima o a terzi”.
Autore: Studio Dott. Micalizzi 16 ago, 2019
L' assemblea è l’organo deliberativo del condominio e rappresenta nella sua sovranità la suprema volontà dei condòmini. Le delibere condominiali, pur non risultando dalla fusione delle volontà dei condòmini partecipanti, acquistano, tuttavia, una propria autonomia sia nei confronti degli stessi condomini sia nei confronti dei terzi estranei al condominio. L’assemblea di condominio si compone, esclusivamente, dei proprietari delle unità immobiliari. In via generale, i poteri dell’assemblea riguardano la disciplina delle cose comuni e non possono invadere la sfera delle proprietà individuali, fatte salve le limitazioni accettate convenzionalmente dagli interessati. ATTRIBUZIONI DELL’ASSEMBLEA L’art. 1135 c.c. stabilisce che l’assemblea, in via ordinaria, provvede alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione; all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa ripartizione tra i condòmini; all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e all’impiego del residuo attivo della gestione; alle opere di manutenzione straordinaria, costituendo, obbligatoriamente, un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori. Il limite che incontrano i poteri dell’assemblea è quello rappresentato dalla proprietà esclusiva dei singoli condòmini. Questa, infatti, non può essere menomata con l’imposizione di pesi, limiti o divieti, salvo che non sussista un titolo negoziale che lo consenta. NOMINA DEL PRESIDENTE E DEL SEGRETARIO Nessuna norma impone la nomina del presidente e del segretario dell’assemblea, ma ragioni di opportunità e una prassi costante sono nel senso di procedere a tale nomina all’inizio dell’adunanza. Il presidente ha la funzione di verificare la regolare costituzione dell’organo deliberante controllando che tutti gli aventi diritto siano stati invitati, di dirigere la discussione, verificare l’esito delle votazioni, esaminare e firmare, alla fine della riunione, il verbale compilato dal segretario. Quest’ultimo svolge funzioni di certificazione annotando nel verbale tutto quanto avviene nel corso dell’assemblea, registrando le deliberazioni adottate dalla stessa. Prescindendo dall’esame dello svolgimento dell’assemblea, è opportuno, ai fini della ricognizione delle funzioni dell’amministratore, approfondire il ruolo di costui nell’ambito dell’assemblea. Si ritiene che, pur non essendo il ruolo dell’amministratore indispensabile per un proficuo svolgimento dell’assemblea, la sua presenza alle adunanze condominiali è buona regola di comportamento, perché non esiste delibera - all’infuori di quella di nomina e revoca - per la quale l’assemblea non abbia interesse a sentire il parere dell’amministratore. IL CONSIGLIO DI CONDOMINIO L’assemblea può anche nominare, oltre all’amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno tre condòmini, negli edifici di almeno 12 unità immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo, ai sensi dell’art.1130-bis c.c. L’AVVISO DI CONVOCAZIONE L’avviso di convocazione costituisce un adempimento essenziale per la valida costituzione dell’assemblea, sicché la mancanza di esso, anche con riferimento ad uno solo dei condòmini, comporta l’annullabilità della deliberazione. L’avviso deve essere inviato a tutti gli aventi diritto almeno cinque giorni prima dell’adunanza (art. 66 disp. att. c.c.), termine inderogabile ai sensi dell’art. 72 disp. att. c.c., ma suscettibile di essere reso più ampio dal regolamento condominiale. L’unica eccezione è rappresentata dalla fattispecie prevista all’art. 1117-ter c.c. “Modificazioni delle destinazioni d’uso” che prevede il termine per la convocazione non inferiore a 30 gg. consecutivi. Oltre al requisito dell’invio a tutti i condomini indistintamente, la convocazione deve contenere: a) l’indicazione del giorno, dell’ora, del luogo della riunione, sia per la prima, che per la seconda convocazione, considerando che quest’ultima dovrà tenersi tra il primo ed il decimo giorno successivi a quello stabilito per la prima; b) l’indicazione degli argomenti che verranno trattati, quelli previsti dall’art. 1135 c.c. per le assemblee ordinarie, quelli suggeriti direttamente dai condomini (che varranno anche e soprattutto per le riunioni straordinarie). La voce "varie ed eventuali" deve riferirsi a semplici comunicazioni, suggerimenti per future assemblee, prospettazioni dei problemi e risposte dell'amministratore; c) l’indicazione del luogo, locale all’interno del condominio, di pertinenza dell’amministratore o di un condomino, od anche, nel caso di condomini di notevole entità, da locali a tal uopo affittati; d) la convocazione deve indicare, naturalmente, anche il giorno e l’ora dell’assemblea, che deve essere fissata tenendo conto della normale disponibilità di tempo dei condomini e delle esigenze lavorative di ciascuno di essi. QUORUM COSTITUTIVI E DELIBERATIVI L'assemblea in prima convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condòmini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio. Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Se l'assemblea in prima convocazione non può deliberare per mancanza di numero legale, l'assemblea in seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima. L'assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio. Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità e le deliberazioni di cui agli artt. 1117-quater c.c., 1120 c.c., secondo comma, 1122-ter c.c. nonché 1135 c.c., terzo comma, devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’art. 1136 c.c.. Le deliberazioni di cui all'articolo 1120 c.c., primo comma, e all'articolo 1122-bis c.c., terzo comma, devono essere approvate dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio. DELEGHE ASSEMBLEARI AI SENSI DELL’ART. 67 DISP. ATT. C.C. Ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condòmini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condòmini e del valore proporzionale. Qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell'articolo 1106 del codice. Nei casi di cui all'articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all'articolo 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all'assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, l'autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine. La diffida ed il ricorso all'autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell'amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini. Ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto. Il rappresentante risponde con le regole del mandato e comunica tempestivamente all'amministratore di ciascun condominio l'ordine del giorno e le decisioni assunte dall'assemblea dei rappresentanti dei condominii. L'amministratore riferisce in assemblea. All'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea. LE IMPUGNAZIONI L’art. 1137 c.c. prevede che le deliberazioni adottate dall’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini e che contro le stesse deliberazioni, ove contrarie alla legge e/o al regolamento condominiale, il condomino, dissenziente o assente, può fare ricorso all’autorità giudiziaria nel termine di 30 giorni. Tale disposizione riguarda le sole deliberazioni annullabili e non quelle nulle, la cui impugnativa non è soggetta a termini di decadenza. IL VERBALE DI ASSEMBLEA L’ultimo comma dell’art. 1136 c.c. recita: “Delle deliberazioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascriversi in un registro tenuto dall'amministratore”. Le decisioni dell’assemblea, in sostanza, devono essere trascritte. Il documento sul quale è riportato lo svolgimento e la deliberazione dell’assise è chiamato verbale dell’assemblea. Dottrina e giurisprudenza, nel corso del tempo, hanno delineato un contenuto minimo del verbale d’assemblea. È necessario: - riportare i nomi degli assenti e dei presenti; - dare atto della regolare costituzione dell’assise; - nominare un presidente; - riportare l’esito della votazione; - riportare le singole espressioni di voto al fine di verificare il raggiungimento dei quorum. Se il verbale non consente di verificare le singole espressioni di voto, le delibere assunte risultano essere annullabili. L’unica eccezione è rappresentata dalla votazione unanime degli intervenuti all’assemblea. Diversamente, laddove tale unanimità non venga raggiunta, è insufficiente riportare la dicitura “l’assemblea approva a maggioranza”, in quanto tale dizione non permette di verificare, ad esempio, con che tipo di maggioranza è stata assunta la delibera. Non esistendo formule di rito prestabilite per redigere un verbale, la stesura dello stesso è lasciata ai condòmini. Infatti, “in tema di delibere di assemblee condominiali, non è annullabile la delibera il cui verbale, ancorché non riporti l'indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a favore, tuttavia contenga, tra l'altro, l'elenco di tutti i condomini presenti, personalmente o per delega, con i relativi millesimi, e nel contempo rechi l'indicazione, nominale, dei condomini che si sono astenuti e che hanno votato contro e del valore complessivo delle quote millesimali di cui gli uni e gli altri sono portatori, perché tali dati consentono di stabilire con sicurezza, per differenza (quanti e) quali condomini hanno espresso voto favorevole ed il valore dell'edificio da essi rappresentato, nonché di verificare che la deliberazione stessa abbia in effetti superato il quorum richiesto dall'art. 1136 c.c.”. Nel condominio degli edifici, poiché la redazione del verbale dell’assemblea costituisce una delle prescrizioni di forma che devono essere osservate al pari delle altre formalità richieste, una volta che l’assemblea sia stata convocata occorre dare conto tramite verbalizzazione di tutte le attività compiute.
Autore: Studio Dott. Micalizzi 16 ago, 2019
Il numero sempre maggiore di liti condominiali non fanno salvi i rapporti tra i migliori amici dell'uomo e la compagine condominiale. Le principali controversie connesse al nostro caro animale domestico possono essere suddivise in tre categorie: la detenzione dell'animale, li suo comportamento negli spazi comuni, gli eventuali rumori e odori molesti provocati dallo stesso. Nell’attuale ordinamento, sostenuto per altro dall’entrata in vigore della L. 221/10 di ratifica ed esecuzione della Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia del 13 novembre 1987, il sentimento per gli animali assurge ad un vero e proprio riconoscimento europeo, con conseguente protezione costituzionale. Va, quindi, riconosciuto, in capo ad un soggetto beneficiario di misura di protezione, in quanto vulnerabile, il diritto soggettivo a detenere un animale da compagnia. Nello specifico il Tribunale di Milano Sezione Civile, con decreto 13 marzo u.s. ha sancito il principio di diritto secondo il quale “l’animale non può essere più collocato nell’area concettuale delle ‘cose’ dovendo essere riconosciuto come ‘essere senziente’”. Deve, quindi, oggi ritenersi che il sentimento per gli animali costituisca un “valore” e un “interesse” riconducibile a una tutela costituzionale: secondo la dottrina penale classica solo gli interessi a copertura costituzionale giustificano, quale estrema ratio, la tutela penale, tutela che nel 2004 il nostro ordinamento ha introdotto nei reati di cui agli artt. 544-bis, 544-sexies c.p.. Ciò che è certo, quindi, è che il rispetto degli animali costituisce “ormai patrimonio della coscienza sociale contemporanea”. Con la legge 201/10, di ratifica ed esecuzione della convenzione europea sottoscritta a Strasburgo il 13 novembre 1987, per la protezione degli animali da compagnia, è stato riconosciuto “che l’uomo ha l’obbligo morale di rispettare tutte le creature viventi”, ed in considerazione dei particolari vincoli esistenti fra uomo e animali da compagnia, ha sancito “l’importanza di questi ultimi a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e, dunque, il loro valore per la società”. Del resto è ormai principio consolidato, anche nel diritto matrimoniale/familiare, l’esigenza di regolamentare il rapporto con l’animale domestico, oggetto di controversia fra i coniugi litigiosi. La normativa del condominio, così come di recente riformata, non poteva non tener conto di tali prese d’atto e, in questa ottica, al contenuto dell’art. 1138 del c.c. è stato, in maniera chiara, inserito che “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”. I proprietari di questi, quindi, non possono oggi più vedersi negato il diritto di possedere animali da compagnia, essendo titolari di un diritto soggettivo su di essi, pur restando responsabili dei propri animali. Nel disegno di legge precedente il divieto era riferito agli “animali da compagnia”; nel testo riformato subentra la definizione di “animali domestici”. Questo, di fatto, rappresenta limite della norma che lascia ampio spazio ad interpretazioni soprattutto con riguardo all’inquadramento degli “animali d’affezione”, i quali, a volte, pur essendo gestiti familiarmente, non possono essere considerati, allo stato, domestici. Pertanto, se tale norma del codice ci consente di dedurre, in maniera chiara, la possibilità di interdire la presenza in condominio di animali esotici, ad es. rettili, meno pacifico risulta stabilire se animali quali criceti, conigli e furetti possano intendersi “domestici”. Si ritiene, quindi, che tale materia sarà oggetto di dispute giuridiche A prescindere dal dettato normativo è determinante che l’accesso di animali in condominio avvenga sempre nel rispetto delle regolamentazioni previste a tutela del viver comune. In particolare l’ordinanza del Ministero della Salute 3 marzo 2009, obbliga i proprietari dei cani di assicurasi che l’animale abbia un comportamento adeguato alle specifiche esigenze di convivenza con persone e animali, rispetto al contesto in cui vive (art. 1 lett. e); ciò deve intendersi quale obbligo di mantenimento dell’ordine e della pulizia nelle aree comuni di passaggio, con specifico riferimento all’obbligo alla raccolta e/o eliminazione di tracce di deiezioni. Rimane sempre vigente l’obbligo di utilizzare il guinzaglio ad una misura a metri 1,50, durante la conduzione dell’animale nelle aree condominiali e l’applicazione della museruola, ma solo se in possesso di animale con indole aggressiva. Se a “Fido” non potrà essere più vietato di vivere in condominio il “papà di Fido” dovrà, comunque, rispettare le norme previste dalla normativa vigente, con particolare riferimento all’art. 844 c.c. in caso di violazione delle norme che superano la normale tollerabilità e, nello specifico, le immissioni rumorose, per non incorrere nel reato di “Disturbo del riposo o delle occupazioni delle persone”, ai sensi dell’art. 659 c.c., nonché, nel reato di omessa custodia ai sensi dell’art. 672 c.p..
Autore: Studio Dott. Micalizzi 16 ago, 2019
Rappresentano un elemento fondamentale per il funzionamento del condominio: i diritti di ciascun condomino sulle cose comuni sono proporzionali alla rispettiva quota di proprietà. Le tabelle millesimali hanno la funzione di determinare il rapporto tra il valore delle singole unità immobiliari e l’intero edificio ai fini della ripartizione delle spese e del funzionamento dell’assemblea è questa la TABELLA GENERALE DI PROPRIETA’ che secondo quanto previsto dal codice civile deve essere allegata al regolamento condominiale. In base a questa tabella si suddividono le spese di proprietà cioè quelle per la conservazione del bene; ad esse si fa riferimento anche per verificare la regolare costituzione dell’assemblea e per il calcolo dei voti necessari per l’approvazione delle delibere. Accanto a quella generale vi possono essere anche altre tabelle per il godimento di beni o servizi suscettibili di utilizzazione separata destinate a suddividere vari tipi di spese come ad esempio le spese per l’ascensore, quelle per le scale o quella per il riscaldamento che fanno riferimento appunto a servizi che vengono utilizzati in maniera diversa dai condomini. Vi sono poi delle ipotesi in cui le tabelle millesimali non esprimono o non esprimono più il reale rapporto tra le singole proprietà e l’intero edificio. La legge consente di rivedere o modificare i valori proporzionali dei singoli piani o porzioni di piano quando: risulta che esse sono conseguenza di un errore; quando per le mutate condizioni di una parte dell’edificio (sopraelevazione, espropriazione parziale, innovazioni di vasta portata) è notevolmente mutato il rapporto tra i singoli piani o porzioni di piano. E’ bene precisare che non ogni modifica comporta la possibilità di una variazione delle tabelle millesimali, ma solo una modifica che comporti un mutamento considerevole dei rapporti tra le singole proprietà e il tutto. Anche nel caso di modifica delle tabelle per i motivi di cui sopra sarà necessario il consenso unanime dei condomini o una sentenza del giudice.
Autore: Studio Dott. micalizzi 15 ago, 2019
L'obbligo del condomino di partecipare alle spese di manutenzione delle cose e dei servizi comuni in proporzione della quota posseduta nasce dalla legge, preesiste sia all'elaborazione delle tabelle millesimali, sia alla stessa delibera assembleare che vi dà contenuto concreto, ed il relativo diritto di credito del condominio costituisce obbligazione propter rem, il cui tempestivo soddisfacimento è in rapporto alla essenziale finalità della conservazione e godimento delle cose comuni. I condomini non sono terzi estranei rispetto al condominio per quanto riguarda la proprietà, il godimento e la gestione delle parti, degli impianti e dei servizi comuni, proprio perché ne sono essi stessi proprietari, sia pure pro quota. Infatti l'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione e al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio. La più recente giurisprudenza ha affermato che l'obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell'assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione , volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente, e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l'individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini sia il frutto di una semplice operazione matematica. Negli edifici in condominio, i condòmini devono farsi carico pro quota delle spese necessarie alla conservazione ed alla manutenzione delle parti e dei servizi comuni, correlativamente al diritto di usarne e goderne. Si tratta di un’obbligazione reale, in quanto connessa alla contitolarità del diritto dominicale sui beni e sui servizi comuni. Il condòmino non può sottrarsi al contributo nelle spese rinunziando al diritto sugli anzidetti beni e servizi (art. 1118, II° co., c.c.): Le spese necessarie, quindi, per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio salvo diverso accordo, si ripartiscono secondo il disposto dell’art. 1123, il quale pone in risalto tre principi: a) CRITERIO DELLA RIPARTIZIONE IN PROPORZIONE AL VALORE DELLA PROPRIETA’ Le spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi comuni nell’interesse comune, per le innovazione deliberate dalla maggioranza, sono ripartite in proporzione al valore della proprietà, salvo diversa convenzione; b) CRITERIO DELLA RIPARTIZIONE IN BASE ALL’USO CHE OGNI CONDOMINO PUO’ FARNE Se ritratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese vengono ripartire in proporzione all’uso che ciascuno può farne; c) CRITERIO DEL GODIMENTO CHE OGNI CONDOMINO PUO’ TRARRE DALLA COSA Qualora si abbia più scale, cortili, lastrici, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità. Deve precisarsi che per ”conservazione” secondo l’accezione più comune, si deve intendere soprattutto la “manutenzione”, cioè tutte le spese necessarie per assicurare che i beni comuni conservino la loro funzionalità ed utilità. In tal senso l’attività di manutenzione si distingue in straordinaria e ordinaria. Ove la ripartizione delle spese sia avvenuta in sede di approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1135, n. 3, c.c., l’obbligo di pagamento diviene parimenti attuale dal momento di approvazione della relativa delibera. Il criterio basilare previsto dal codice civile per la determinazione della quota di ciascun condòmino è quello della proporzionalità. Ognuno deve partecipare e, quindi, contribuire alle spese condominiali in proporzione al valore della sua proprietà, desunto dalla tabella millesimale, salva diversa convenzione (art. 1123, I° co., c.c.). L'art. 1123 c.c. nella parte in cui stabilisce che “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne” fa riferimento alle ipotesi in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa. Occorre, dunque, avere riguardo non già al godimento effettivo e concreto, bensì al godimento potenziale che il condomino può ricavare dalla cosa comune. Il criterio della proporzionalità è temperato da quello dell’uso ove si tratti di spese relative a beni o servizi destinati a servire i condòmini in misura diversa: tali spese, infatti, sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascun condòmino può farne (art. 1123, II° co., c.c.). Costituiscono una pratica attuazione di questo principio gli artt. 1124, 1125 e 1126, che regolano rispettivamente la ripartizione delle spese per le scale, per i soffitti, le volte e i solai, e per i lastrici solari di uso esclusivo. Qualora l’edificio condominiale abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte soltanto dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione fanno carico, sempre in base ai millesimi di proprietà, ai soli condòmini che ne traggono utilità (art. 1123, ult. co., c.c.). L’obbligo di pagamento delle spese condominiali incombe, altresì, su colui il quale sia subentrato nei diritti di un condòmino (es. al compratore o al donatario): il subentrante, più precisamente, è obbligato, solidalmente con il proprio dante causa, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente, ancorché le relative spese siano state deliberate da un’assemblea svoltasi in epoca precedente all’acquisto (art. 63, II° co., disp. att. c.c.). Sono, inoltre, solidalmente tenuti al pagamento delle spese i comproprietari pro-indiviso di uno stesso piano o porzione di piano (es. eredi o coniugi), sicché l’amministratore può esigere da uno qualsiasi di essi l’adempimento della relativa obbligazione. La ripartizione delle spese riguarda le spese necessarie, ossia le spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni, quelle per la manutenzione e per il funzionamento degli impianti e servizi comuni e quelle per le innovazioni deliberate nell’assemblea condominiale. Pertanto i condomini dissenzienti non possono contestare in sede di rendiconto una spesa che essi giudicano inutile, ma devono limitarsi a discuterne l’opportunità in sede di bilancio preventivo. In pratica i condomini che non sono d’accordo nel procedere a tale spese devono sollevare tale loro obiezione in sede di assemblea al fine di persuadere anche tutti gli altri condomini o almeno la maggioranza di essi ad evitare detta spesa. Se comunque la spesa viene approvata in sede di assemblea anche i condomini dissenzienti devono partecipare e contribuire per la loro quota non potendosi sottrarre a quanto statuito dalla maggioranza assembleare. Le norme in materia di spese condominiale possono comunque essere derogate dall’unanimità dei condomini attraverso il regolamento condominiale. I condomini sono obbligati a corrispondere le spese condominiali anche quando il loro appartamento è vuoto o inutilizzato. Può aversi, infine, l’ipotesi che l’immobile sia gravato da usufrutto: in tal caso, le spese vanno ripartite tra l’usufruttuario, tenuto a farsi carico delle spese di gestione e manutenzione ordinaria, ed il nudo proprietario, che deve sopportare, invece, le spese di conservazione e manutenzione straordinaria. Infatti usufruttuario e nudo proprietario rispondono in solido delle obbligazioni verso il condominio: questo è un principio assodato anche in giurisprudenza. All’usufruttuario spettano “gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa. Sono a suo carico anche le ripartizioni straordinarie rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione” (art. 1004 c.c.). A carico del nudo proprietario (art. 1005 c.c.) sono le riparazioni straordinarie, ossia quelle “necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzioni delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta”. L’elenco del codice civile non è tassativo né esaustivo. Si ritiene che rientrino nelle riparazioni straordinarie tutte le spese non prevedibili come effetto normale dell’uso e del godimento della cosa, che consistano nella sostituzione o nel ripristino di parti essenziali della struttura della cosa, il cui costo risulti sproporzionato rispetto al reddito normale prodotto dalla cosa stessa. In linea generale, ai fini della ripartizione delle spese condominiali tra nudo proprietario e usufruttuario, occorre riferirsi al criterio della natura delle opere da realizzare. L'usufruttuario, avendo l'uso e il godimento della cosa, sarà responsabile per tutto ciò che attiene alla conservazione e al godimento della cosa stessa sotto il profilo materiale e della sua attitudine produttiva. Mentre saranno riservate al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della cosa. Pertanto, spese come quelle di rifacimento della caldaia, di assicurazione del fabbricato, di manutenzione del tetto, non assumono quel carattere di straordinarietà come sopra delineato, ma piuttosto vanno fatte rientrare nell'alveo delle spese relative all'amministrazione e alla conservazione del bene in quanto idonee a preservarne l'attitudine produttiva, con conseguente attribuibilità dei relativi oneri all'usufruttuario (Trib. civ. Roma, n. 29809/04).

STUDIO DOTT. MICALIZZI

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